quaderni di management 
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Il cambiamento, questo sconosciuto

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Giancarlo Oriani


 

Buon 2007 a tutti!
Inizia il quinto anno di quaderni di management. Quattro anni passati ad investigare le novità del mondo manageriale, con personaggi qualificati e attraverso approfondimenti seri. Vogliamo continuare su questa strada, nel segno della continuità (perché riteniamo sia ciò che si aspettano i nostri lettori), ma anche con qualche novità, visto che continuiamo a dire che il cambiamento è la linfa vitale delle aziende.
Una grande novità, che troverete appena girata questa pagina, è il ritorno di Tarasso, la penna pungente che ironizza sul mondo manageriale, suoi sui attori, sui suoi tic. E’ anche un modo per “alleggerire” la rivista, a volte considerata fin troppo ‘seriosa’. Il primo contributo si intitola “Sei un vero manager?”, e vale come titolo di ammissione alla lettura del resto di questa rivista indirizzata appunto ai manager. E’ un test che parla di test: non se ne abbiano le persone che svolgono questo ruolo con professionalità e serietà tutti i giorni. Ma facciano esame di coscienza i tanti “guru” autodidatti, nati dalla sera alla mattina, pronti a fare consulenza su qualsiasi tema sia di moda nelle aziende.
A proposito di cambiamento, pubblichiamo un interessantissimo articolo di due studiosi americani, David Rock e lo psichiatra Jeffrey Schwartz che illustrano le basi chimico-fisiche della resistenza al cambiamento, originariamente apparso sulla prestigiosa Strategy+Business, la rivista di Strategia Aziendale di Booz Allen Hamilton. Essi evidenziano come alcune affermate metodologie per il cambiamento abbiano dei limiti, e propongono delle modalità alternative di intervento. Queste devono basarsi sul focalizzarsi nell’identificare e creare nuovi comportamenti, anziché nell’individuare gli ostacoli a questi nuovi comportamenti; nello stimolare le persone, tramite domande oculate, a trovare da sé le nuove strade, invece di fornire loro consigli diretti; nel concentrare in modo continuativo l’attenzione sui nuovi comportamenti. Un modello che, tra l’altro, dopo anni di TQM e circoli della qualità, ci dice che il miglioramento continuo è il modo migliore per innovare.
Di cambiamento parlano anche gli articoli di Garbellano e Bettiol, e l’intervista a Bramati di IBM Global Business Services.
Il primo sottolinea che il modello tradizionale dei distretti, basato sul “saper fare”, sull’empirismo e sul localismo non è più adeguato. Bisogna saper produrre conoscenze originali ed esclusive, che possano essere difese dalle imitazioni. Per far ciò servono certamente le conoscenze tecniche e tecnologiche, ma si rendono altresì necessarie altre tre tipologie di conoscenze: applicative, organizzative e connettive. Altro tema centrale è l’internazionalizzazione, che può manifestarsi in due modi diversi: la pura e semplice esportazione dell’esperienza distrettuale, oppure il trasferimento di pezzi della filiera in contesti che offrano un maggiore vantaggio competitivo. Le aziende, soprattutto quelle piccole e medie, non possono essere da sole in questo processo di cambiamento e sviluppo. Un apporto essenziale deve arrivare dalle istituzioni dei vari territori, come le banche, le associazioni imprenditoriali, le organizzazioni sindacali, ecc... Un altro contributo fondamentale deve arrivare dalla formazione. Ma il quadro che emerge è, secondo gli autori, preoccupante: la formazione non solo non risponde alle aspettative, ma viene addirittura percepita talvolta come un fattore frenante dell’intero sistema nazionale. Di qui la proposta delle “District University”, che superino la stucchevole sovrabbondanza di offerta formativa, per arrivare ad una sintesi di qualità orientata alle esigenze specifiche del distretto.
Anche l’intervista a Bramati, IBM Global Business Services Leader in Italia, parla, tra le altre cose, di cambiamento e nuove offerte formative. Nell’ambito della centralità dell’innovazione di processo, che porta verso una sorta di azienda “lego”, si deve creare un “manager nuovo”. IBM si sta impegnando in prima persona su questa strada, sostenendo, insieme a qualificate università in tutto il mondo, la creazione di corsi universitari di “SSME”, (Services Science, Management and Engineering), una disciplina che, rappresentando l’applicazione congiunta di principi scientifici, di management e di ingegneria, vuole preparare professionisti e manager multidisciplinari per il domani delle aziende.
L’intervista sottolinea l’importanza anche della business intelligence, come strumento fondamentale per poter utilizzare l’immensa mole di dati oggi a disposizione dei manager.
In effetti, come dice Susi Dulli, nell’introduzione al focus che questo numero di quaderni di management dedica non a caso al data mining, “negli ultimi anni vi è stata una crescita esplosiva della capacità di generare e collezionare dati ... dall’esigenza di aiutare concretamente i dirigenti d’azienda, sono nate nuove tecniche e strumenti”, quali appunto il data mining.
Dopo il precedente focus di fine 2003, ritorniamo sull’argomento per lo straordinario interesse che esso riveste. Siamo nell’era dell’ “overload informativo”: possiamo avere dati praticamente su tutto. Ma la nostra razionalità è limitata: molti (troppi) dati possono equivalere a nessun dato, se non si riesce ad estrarne informazioni utili per prendere decisioni informate. Il data mining vuole aiutarci a superare i nostri limiti cognitivi, investigando per noi quantità enormi di dati. E’ uno strumento quindi molto utile, ma anche potenzialmente pericoloso, nella misura in cui potremmo perdere il controllo sulle modalità di analisi dei dati del contesto in cui agiamo. Come ci spiega Dulli “il data mining è un processo analitico di scoperta di relazioni, di pattern e di informazioni precedentemente sconosciute e potenzialmente utili presenti all’interno di grandi database ... [esso] si pone l’obiettivo di ricercare associazioni non note a priori”. Cioè il data mining crea vera e propria conoscenza al posto nostro. Capire come faccia diviene quindi fondamentale per un manager che voglia utilizzare al meglio i dati che i sistemi ICT mettono a disposizione. Il focus propone quindi una panoramica di esempi al fine di comprendere le sue possibili applicazioni in campo aziendale.

Buona lettura