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La Cina: una "questione di testa"

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Giancarlo Oriani


 

Sapersi confrontare con la realtà cinese è ormai imprescindibile. Ma il successo dipende dal capire la mentalità cinese, che è frutto di 5000 anni di storia per certi aspetti completamente diversa dalla nostra.
Parole come “Guanxi” e “Mianzi” diventeranno forse di uso comune, proprio come oggi business plan o reengineering, ma il loro significato, per quanto riferibile a contesti di management, attiene più alla sfera dei valori umani. La traduzione di questi due termini evidenzia infatti l’importanza delle relazioni interpersonali e l’importanza di non perdere mai la faccia. Così impariamo che le relazioni possono valere più di un contratto e che perdere la faccia vuole dire danneggiare la propria reputazione nei confronti del gruppo e della società. Nelle negoziazioni, il business man occidentale deve abituarsi a porre le questioni in modo che per il cinese ci sia sempre una via d’uscita che gli eviti di “perdere la faccia”. Per estensione, dunque, anche il gruppo è molto importante. I cinesi sentono la necessità di riuscire a mantenere l’armonia fra le persone, ricercando il mutuo beneficio, a scapito dell’interesse individuale, nell’ambito di una visione consensuale e olistica della decisione. Si percepisce in questa sfacettatura sociale una radicata matrice collettivista che trae le sue origini dal confucianesimo e si è confermata poi col comunismo. Così come confuciano è il carattere fortemente gerarchico dell’organizzazione. Talvolta l’esecuzione da parte del subordinato avviene senza convinzione, in maniera automatica e gerarchica, semplicemente nel rispetto formale dell’ordine. Parlando di influenze culturali, inoltre, è bene sottolineare l’importanza del taoismo, che si occupa dell’interiorità.
Abbiamo già parlato di management interculturale in passato, con un articolo di Eila Järvenpää e Stina Immonen, pubblicato nel numero 5, che trattava delle peculiarità rilevabili nelle relazioni di business tra finlandesi, statunitensi e cinesi. Che quest’articolo fosse scritto da non italiani e non parlasse dell’Italia è in un qualche modo sintomatico Da più parti si solleva ormai il problema del ritardo dell’Italia nel collegarsi al mondo cinese, sia come studio approfondito delle differenti caratterizzazioni culturali, sia come capacità di creare le relazioni. Non sfugge il paragone con gli Stati Uniti dove da circa vent’anni le università organizzano corsi frequentati dai top manager delle più importanti multinazionali americane e i temi affrontati riguardano soprattutto gli aspetti culturali e linguistici delle realtà straniere. D’altro canto gli studenti cinesi in occidente pongono le basi per relazioni con enormi potenzialità di sviluppo futuro. E’ significativo come i giovani cinesi nelle università inglesi, tedesche, francesi ecc. si contino a decine di migliaia, mentre quelli in Italia siano ancora nell’ordine di poche centinaia.
Il primo articolo, di Alfieri e Borzatta (da cui sono tratte gran parte delle considerazioni sopra riportate) fornisce un quadro di come gestire le relazioni transculturali in attività di business.
L’intervista alla professoressa Lavagnino, Presidente del corso di laurea in Mediazione Linguistica e Culturale, della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano, illustra quello che in università si sta facendo per recuperare terreno, formando professionisti italiani che siano in grado di lavorare in Cina (ed in altre zone, tra cui l’India ed il Sud America).
L’articolo di Fiscato e Pilotti cerca di definire alcune variabili chiave indispensabili per comprendere meglio quali siano le politiche e le azioni strategiche attuabili per assicurare all’Italia il miglioramento dell’attuale posizione competitiva.
Sciuccati e Gellera, invece, descrivono le opportunità di “agganciare” la locomotiva cinese sul lato dei servizi logistici, sia quelli specialistici di base che quelli integrati e ad alto valore.
La Cina e tutti gli altri paesi emergenti non pongono solo il problema della mediazione culturale, ma anche quello del riposizionamento delle attività in un occidente che non può certamente competere sui costi. Quindi si tocca il tema dell’innovazione, molto caro a quaderni di management. Nel numero scorso ne abbiamo parlato con ATKearney; in questo numero leggiamo il pensiero di Giorgio Merli e di IBM Consulting Services.
Anche la sezione “Letture straniere” si occupa, seppur indirettamente, di innovazione. In particolare del problema del project management. Perché spesso i progetti non conseguono gli obiettivi posti, nonostante il ricorso a strumenti avanzati e project manager di valore? L’interessante articolo di alcuni professori dell’INSEAD offre una nuova prospettiva “contingente”: bisogna valutare il profilo di rischio specifico del progetto, e su questa base definirne l’organizzazione e gli strumenti necessari.
L’articolo di Brun riprende temi cari a qdm, quali quelli dell’utilizzo di logiche e tecniche avanzate, legate alla teoria della complessità, nella gestione aziendale. Dopo la Bio Economy (neologismo lanciato dal “guru” americano Chris Meyer - si veda la recensione sul numero 7/2004) l’autore ci parla delle Bio Operations. Problemi tipici della Gestione delle Operations (quali la programmazione di una linea di assemblaggio o la definizione di gruppi di macchine in un sistema produttivo a celle), saranno affrontati con tecniche nuove.
L’articolo di Lotti, di Atos Origin, affronta il tema delle sfide poste dall’economia della conoscenza, che impongono l’adozione di modelli e paradigmi che riescano a sviluppare, valorizzare ed accrescere competenze in continua evoluzione. Per essere efficaci, è necessario uno schema metodologico che intervenga in maniera armonica e coordinata su tutti i diversi livelli (organizzazione, processi, risorse umane e tecnologie).
L’articolo di Gnoato e Ruozzo presenta i risultati di una indagine condotta da Festo Consulenza e Formazione sullo stato dell’arte del ruolo di Direttore Commerciale. Qual è oggi il ruolo del Direttore Commerciale ? Qual è il profilo di competenza di colui che è chiamato a guidare la vendita oggi ? Quali sono le leve gestite direttamente ? Qual è il livello di integrazione con i processi organizzativi fondamentali ?
L’intervista al professor Giuffrida, che insegna in Bocconi e guida la sua impresa Clamp, ci racconta infine l’esperienza di implementazione di un sistema informatico avanzato (SSA Baan) in una piccola azienda. Si evidenzia un fatto molto interessante, e cioè come anche una piccola azienda, facendo leva sullo stile dell’imprenditore e sulla volontà di personale giovane, possa trarre beneficio da certi strumenti gestionali, in genere associati con aziende di dimensioni medio-grandi.