quaderni di management 
bimestrale di cultura managerialeE.G.V.
  
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Da snella ad agile

Giancarlo Oriani


 

Come direttore della rivista è molto piacevole poter presentare un numero che offre così tanti articoli di alto livello, realizzati da personaggi di chiara fama nel mondo delle imprese.
I temi trattati sono tanti. Tra questi partirei da quello proposto dall’articolo di Sciuccati e Piroso di Ambrosetti: il passaggio dall’impresa “snella” a quella “agile”. Tema innovativo, che va oltre l’attuale (anche se non recentissimo) “mantra” dell’impresa snella, per riflettere su un aspetto chiave: l’azienda snella, senza attività a valore, in cui la produzione fluisce come l’acqua in un tubo, è spesso poco flessibile. Il paradigma del processo teso è un paradigma rigido, che richiede ripetitività e rispetto degli standard per garantire le prestazioni. Sciuccati e Piroso evidenziano come l’attuale contesto competitivo richieda invece agilità, cosa diversa dalla snellezza, in quanto implica capacità di “adattamento strategico ed operativo a cambiamenti di business su grande scala e non prevedibili”. L’azienda deve saper reagire velocemente a situazioni non ripetitive. In questa situazione la metafora del processo diventa meno efficiente rispetto a quella della rete: la capacità di risposta rapida a situazioni imprevedibili dipende dalla capacità di gestire non tanto una supply chain, quanto un supply network. Questa filosofia organizzativa richiama, tra l’altro, il focus che quaderni di management presentò “nel lontano” giugno 2004 sul Supply Chain Event Management, strumento manageriale che cerca appunto di migliorare le prestazioni logistiche ragionando in ottica di rete e di gestione dell’imprevisto (gli “eventi”).
Nell’intervista a Rullani, il professore ci fornisce la sua visione e la sua chiave di lettura dell’economia della conoscenza, nella quale è centrale la rete e il caos creativo, ed all’interno della quale si vanno a collocare queste nuove supply chain, che sono filiere internazionalizzate e smaterializzate. L’intervento è denso di concetti ed interpretazioni. Tra questi ne selezionerei uno, magari meno importante di altri per l’intervistato, ma molto suggestivo per me: nell’economia della conoscenza è fondamentale l’investimento in formazione, ma questo è penalizzato dall’eccessiva mobilità delle risorse umane: detto in altre parole, anche un rapporto di lavoro “rigido” ha i suoi vantaggi. Ecco un altro “mantra” (quello della flessibilità del rapporto di lavoro) che va approfondito.
L’azienda agile è dunque un’azienda-rete che cerca di rispondere alla imprevedibilità ed alla complessità del contesto competitivo facendo leva anche sulle proprie risorse umane. L’articolo di Gabbiani di HP ci spiega come la sua azienda cerchi di dotare i propri manager degli strumenti per affrontare la complessità. Poichè la realtà talvolta sfugge al controllo, e mancano i concetti ed i modelli per saperla spiegare e interpretare, la formazione attraverso gli “Incontri in Hp: Ri pensare il business ed esprimere Leadership”, vuole fornire angolature e contaminazioni diverse da quelle usuali, attraverso una serie di incontri con filosofi, sociologi, biologi, scrittori e artisti.
L’azienda agile deve essere anche innovativa, e le modalità per essere innovativi sono da sempre al centro dell’attenzione della nostra rivista. Nella sezione “Letture straniere”, i professori dell’Insead e i consulenti della Booz Allen Hamilton ci illustrano i risultati di un’importante indagine sulla configurazione e le modalità di gestione delle reti di innovazione globale. L’indagine si poneva l’obiettivo di comprendere i livelli attuali e futuri di dispersione geografica delle attività di R&S, le cause di questi livelli di dispersione; gli approcci per trovare nuove conoscenze; le strutture e i processi organizzativi che supportano l’innovazione dispersa e le barriere all’innovazione globale. Ne è emerso che, anche tra le aziende più avanzate, o ritenute tali, poche stanno al momento ottenendo appieno i guadagni di questa globalizzazione, in quanto gli strumenti organizzativi non sono ancora a pieno regime: il coordinamento tra i siti è debole, manca un’armonizzazione di processi e sistemi, il bisogno di avere a disposizione un gruppo di persone con esperienza internazionale in grado di lavorare in un contesto del genere è largamente trascurato.
A proposito di scenari e globalizzazione, e ad integrazione del focus del numero precedente sul global sourcing dell’IT, un altro importante contributo di questo numero è l’articolo di Capitani di Net Consulting. In esso si evidenzia come i paesi maggiormente utilizzatori di servizi in offshoring siano gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, mentre le imprese italiane siano ancora in ritardo, e si concentrino prevalentemente sull’est europeo, alla ricerca di puri vantaggi di costi. L’articolo cerca di indagare i motivi di questa arretratezza.