quaderni di management 
bimestrale di cultura managerialeE.G.V.
  
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Ridondanza e snellezza/complessità e semplificazione

Giancarlo Oriani


 

La dialettica tra ridondanza e complessità, da un lato, e snellezza e semplificazione, dall’altro, è qualcosa che il manager efficace del prossimo futuro dovrà imparare a capire e a “gestire”.
C’è un ritorno dei concetti della produzione snella. Se vogliamo mantenere un pò di attività e competenze industriali in occidente, le nostre fabbriche, che si confrontano con i paesi a basso costo della manodopera, dovranno diventare estremamente efficienti, cioè snelle, per potercela fare. I concetti della produzione snella si stanno inoltre estendendo ad altri settori aziendali, come lo sviluppo prodotti snello, o l’ufficio snello (per non parlare dei “servizi snelli”, vedi il focus ospitato nel numero 31 di quaderni di management). Tutto ciò costituisce una risposta alle necessità di rapidità ed efficienza di tutte le aree aziendali.
La snellezza organizzativa ha un presupposto incontestabile: le attività a non valore vanno eliminate perché generano un inutile consumo di risorse. La sincronizzazione e i sistemi pull di programmazione insiti nelle filosofie snelle soddisfano un altro desiderio: quello di semplificare. L’uomo, come ci ha insegnato il premio Nobel Herbert Simon, è un animale a razionalità limitata che persegue soluzioni non ottimali ma soddisfacenti. Se semplifico la realtà gli faccio un favore.
L’articolo di Cravera ospitato in questo numero sottolinea, al contrario, l’importanza di un salto di paradigma manageriale, verso la ridondanza e la complessità.
Per affrontare l’attuale contesto competitivo, le aziende hanno bisogno di “puntare all’accumulo di risorse connesse alla potenzialità di stare sul mercato. Tali risorse non sono solo finanziarie, ma riguardano in primo luogo gli intangibile asset”. Questo è un forte cambiamento di orientamento: implica al tempo stesso ridondanza, attenzione al capitale intellettuale, il non essere ossessionati dal ROI per ogni iniziativa.
Inoltre, “affrontare la complessità significa pertanto, per individui e organizzazioni, complessificare il proprio pensiero, aprirsi a molteplici punti di vista, ricercare il confronto e il diverso, aspettarsi l’inaspettato, uscire dai confini del proprio sapere specialistico, farsi nuove domande, non accontentarsi delle solite risposte. Aumentando le interconnessioni tra dati, informazioni, esperienze, osservazioni, aumentiamo il numero di alternative di mondo che in ogni istante costruiamo.” Queste affermazioni sono perfettamente coerenti con altre apparse sulle pagine di questa rivista, quando si è cercato di affrontare il tema dell’innovazione e del modello organizzativo che favorisca l’innovazione. Esso è infatti un modello che richiede ridondanza, multidisciplinarità (basata su team), voglia di porsi nuove domande (si veda, ad esempio, il recente articolo sul metodo Lead User).
Questo approccio porta a conclusioni eversive rispetto ad un certo approccio manageriale: “una decisione manageriale è ottima, dal punto di vista della complessità, non quando produce un output positivo … bensì dal grado di consapevolezza dimostrata dal manager di tutte le possibili ripercussioni intenzionali e inintenzionali della soluzione prospettata”.
Rispetto a queste filosofie, per Cravera il ritardo è forte: “nonostante i grandi cambiamenti nella terminologia, negli approcci e negli strumenti, la gestione d’impresa è ancora fortemente incentrata sull’obiettivo di ridurre l’incertezza ambientale attraverso la creazione di ordine, razionalità e controllo”, cioè con logiche riduzioniste e deterministiche orientate alla semplificazione.
Come si combinano questi due approcci, apparentemente entrambi molto validi ma anche apparentemente contraddittori?
Secondo noi lungo due direttrici molto chiare:
1. l’eliminazione di attività a non valore serve a snellire, ma anche a liberare risorse da impegnare in attività a maggior valore (come quelle orientate a complessificare le capacità di risposta dell’azienda).
2. Dove è la complessità? Ovunque? Sicuramente no. Cravera stesso indica l’ottimizzazione dei flussi logistici come un esempio di problema aziendale che non richiede necessariamente pensiero complesso. Lo stesso si può dire per le produzioni ripetitive. Il manager deve saper dunque distinguere aree dove devono essere privilegiate la complessità e la ridondanza (strategia, innovazione, prime fasi dello sviluppo prodotto), da aree dove invece devono essere privilegiate semplicità e snellezza (produzione, ultime fasi dello sviluppo prodotto).

Da questo numero, la nostra rivista ospiterà le “Pillole giapponesi di management aziendale”, brevi scritti nei quali Rosario Manisera, studioso del Giappone, ci racconta cosa bolle in pentola in quel paese lontano eppure così vicino.
Gli articoli di Ruffatti e Thomas introducono l’interessante concetto di “ecologia di business”, che si propone come il superamento della classica “catena del valore”, nei contesti innovativi e a rete tipici dell’open source.
Nella sezione “Letture straniere”, Kang Gang Hu ci illustra, da cinese, le peculiarità della cultura cinese e i comportamenti che devono saper adottare le aziende occidentali che vogliano avere successo in Cina.
Nell’intervista viene descritto il modello organizzativo di un Pronto Soccorso, un’organizzazione che deve essere di necessità rapida e infallibile; il tema costituisce una continuazione delle riflessioni sulle “HRO” iniziata con l’articolo di Bill Fear nel numero 29.
L’articolo di Bizzantino, Calabrese, Radaelli e Petroni illustra invece una metodologia innovativa di supporto decisionale al management aziendale, in grado di fornire una razionalizzazione delle azioni organizzative da intraprendere in contesti di cambiamento, applicata in una società italiana appartenente al gruppo svedese Sandvik.
Partendo dal presupposto che la flessibilità sia un’esigenza per le aziende che operano nell’ambiente moderno, Francesco Paoletti e Francesca Ripamonti e ci mostrano quali soluzioni le imprese possano adottare per favorire l’attuazione di tale strategia e proteggere allo stesso tempo i lavoratori. La soluzione migliore che emerge è quella di dare la possibilità ai lavoratori di scegliere, caso per caso, la specie e il genere di flessibilità che preferiscono.