quaderni di management 
bimestrale di cultura managerialeE.G.V.
  
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I vincoli di sistema

Giancarlo Oriani


 

Già in un vecchio numero (9/2004) quaderni di management si era occupata della teoria dei vincoli. Che ritorna in questo numero sia nell’articolo di Martinazzo che se ne occupa direttamente, che in quello di Romberg che ne tratta indirettamente.
Come osserva Martinazzo, “nella configurazione attuale [la teoria dei vincoli] consiste di una metodologia sistematica di problem-structuring e problem-solving, che grazie al suo approccio contestualmente intuitivo ed analiticamente rigoroso, supporta lo sviluppo di soluzioni in diversi ambienti, a partire dal nucleo principale che si fonda sull’identificazione del vincolo del sistema e sul superamento dello stesso”.
La forza della teoria sembra risiedere nella sua capacità di semplificare, pur mantenendo un approccio sistemico e non banale. Infatti evidenziare che la prestazione di un sistema è determinata dal suo vincolo (l’“anello debole”) e che si debba conseguentemente focalizzare l’attenzione e gli sforzi su di esso per rinforzarlo, vuol dire fornire una chiave di lettura che semplifica il problema della gestione di un sistema complesso.
Le implicazioni pratiche della teoria dei vincoli sono inoltre per certi versi meno sfidanti di quelle di altre logiche manageriali, come quelle del lean management. Con queste ultime infatti si “ricerca la perfezione e [si] interviene riducendo gli sprechi presenti in tutte le risorse lungo l’intera supply chain, [mentre] il TOC focalizza le energie d’intervento prima di tutto nei punti critici del sistema (che ne vincolano quindi le prestazioni), monitorando un numero di ‘aree’ critiche ridotto e ben determinato”. Non solo: si ribalta la sequenza problema-prestazione. Mentre negli approcci giapponesi si stressa la prestazione del sistema per far emergere i problemi da risolvere (ad esempio con il JIT si riducono le scorte per far emergere le inefficienze operative), nel TOC prima si capisce e si risolve il problema e poi si aumenta la prestazione del sistema (ad esempio, si “utilizzano le informazioni provenienti dal buffer management per identificare gli elementi critici, correggerli ed infine si riducono le scorte”). Forse un tipo di approccio del genere è più adatto alla mentalità occidentale, più orientata a collocare buffer di sicurezza che a sfidarsi stressando il sistema. Però può anche essere talvolta meno efficace, ad esempio quando il ritmo produttivo sia definito dal vincolo interno (il drum) invece che dal mercato (il takt time delle logiche snelle).
Peraltro il TOC condivide con gli approcci snelli la tensione verso il miglioramento. Anzi, il miglioramento è parte costituente inamovibile della struttura di ragionamento del  TOC, nella misura in cui l’individuazione di un vincolo genera un’azione di miglioramento, che è finalizzata a potenziare questo vincolo al punto da rimuoverlo come tale. A questo punto emerge un altro vincolo da aggredire, ad un livello di prestazioni superiore. Il miglioramento continuo del TOC è un miglioramento precisamente finalizzato, focalizzato su vincoli ordinati in sequenza secondo il principio di Pareto.
La teoria dei vincoli, nata nelle operations, è in fase di applicazione in altre aree. Come evidenzia Martinazzo, si sta estendendo alla “Distribuzione, R&D, vendite, Marketing, Project Management, Supply Chain Management, Strategia e Management Accounting”.
   Infatti nell’articolo di Romberg la teoria dei vincoli appare come la logica fondamentale per la gestione dei progetti (tramite il Critical Chain Method) nell’ambito del Lean Product Development.
Il Lean Product Development sembra essere il nuovo mantra del management. In effetti l’applicazione delle filosofie provenienti dal mondo Toyota sembrano promettere interessanti spazi di miglioramento anche al di fuori delle operations. In questo articolo si propone di utilizzare i quattro elementi “snelli” propri della produzione (stabilità di processo, flusso, ritmo, pull) anche nello sviluppo prodotto, per arrivare ad ottenere processi di sviluppo efficaci (riduzione dei tempi di sviluppo) ed efficienti (riduzione dei costi di progettazione), soprattutto nella fase che va dalla formulazione delle specifiche alla prima produzione di serie. Per la realizzazione del secondo elemento, il flusso, si propone di utilizzare il Critical Chain Project Management. L’articolo dunque sostiene implicitamente una notevole sinergia tra le logiche snelle e la teoria dei vincoli.
   Il breve ma interessante pezzo di Osten (si tratta di una sintesi di un suo discorso tenuto in Germania presso la sede della società di consulenza Staufen) tratta del concetto di errore in oriente e della sua sostanziale differenza dallo stesso concetto in occidente. Con le implicazioni che ciò ha sui comportamenti concreti, anche nel business. L’intervento può essere visto più in generale come un’interessatissima discussione sulle differenze culturali est-ovest.
   “Business school, benchmarking e Best Practice hanno imposto un modello fatto di “aziende karaoke” che si copiano a vicenda, proponendo un modello che non può reggere alle sfide di un mondo dove la sopravvivenza dipende dalla capacità di usare le imperfezioni del mercato a proprio vantaggio, seducendo il consumatore …” è la stimolante provocazione di Ruggero Nocerino da cui prende avvio la seconda parte del focus sul project management (la prima è stata pubblicata sul numero precedente). Questa seconda parte punta l’attenzione su come le aziende debbano “agire per uscire dalla crisi: producendo innovazione, quindi approfittandone per porre in atto quei cambiamenti, magari drastici, capaci di modificare il proprio business in modo da essere meglio posizionati quando la crisi terminerà”.