quaderni di management 
bimestrale di cultura managerialeE.G.V.
  
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Organizzazione ambidestra

Giancarlo Oriani


 

Dopo il focus sul Lean Accounting pubblicato sull’ultimo numero del 2009, il 2010 si apre con un articolo critico su questo approccio contabile.
In effetti il giudizio finale di Redondi è abbastanza netto: “questa tecnica contiene diversi elementi di forte interesse, quali l’analisi dei costi per i processi di produzione e l’utilizzo del metodo a costi variabili. Non si riscontra però nulla di innovativo rispetto a metodologie ampiamente consolidate nel campo del controllo di gestione”, in particolare “esistono metodologie di controllo di gestione più evolute e complete che possono meglio supportare l’impresa in questo cammino, ad esempio l’analisi dei costi basata sulle attività, o Activity Based Costing.”
La critica si articola soprattutto intorno ad alcuni punti deboli del LA:
• l’allocazione incentrata sulle value stream può avere dei limiti (“è vero che in certi casi l’allocazione di alcune tipologie di costi indiretti, in particolare quelli relativi alla struttura, ha un certo grado di arbitrarietà. Comunque, la strada logica dovrebbe essere quella di ottenere un’allocazione il più razionale possibile, piuttosto che eliminare il problema”);
• il problema della valorizzazione delle scorte può seguire strade alternative, infatti per individuare i benefici economici derivanti dalla riduzione delle scorte “basta analizzare i flussi di cassa generati dall’impresa, il cui prospetto deve essere sempre valutato congiuntamente agli altri documenti di natura economico-finanziaria”;
• non necessariamente la liberazione di capacità propria degli approcci lean viene registrata come un fatto negativo da sistemi contabili diversi dal LA, in quanto “non è neppure vero che allocando i costi indiretti si rischia di vedere un incremento di costo unitario a fronte di capacità inutilizzata. Questo è vero solamente per le tecniche più imprecise di costo pieno. Utilizzando l’Activity Based Costing, ad esempio, è possibile separare l’effetto legato all’utilizzo parziale della capacità produttiva che quindi non viene automaticamente riallocata sui prodotti”.
Speriamo che questo non sia che l’avvio di un dibattito sui sistemi di controllo di gestione più adatti ai nuovi paradigmi organizzativi che vanno sotto l’etichetta di Lean Enterprise.
   Il problema di come avere informazioni corrette permea anche l’articolo di Giorgetti, che affronta un tema oggi molto sentito (come ridurre i costi) con una critica ovvia ai metodi “tradizionali” (un taglio indiscriminato dell’x% da applicarsi in tutte le aree) e proponendo un approccio estremamente interessante: pesare il valore generato di una funzione in rapporto al proprio costo, e prendere decisioni di intervento sulla base di questo rapporto: “è necessario conoscere bene quali siano le funzioni deboli e quelle forti dell’azienda, perché sarebbe grave per un’impresa indebolire quelle che hanno i migliori rapporti di valore/costo, che devono rimanere i sostegni della competitività, anche e soprattutto dopo la ristrutturazione”. Di particolare interesse è il tentativo di dare un valore, espresso in numerario come i costi, alle funzioni.
   L’articolo di Booz si occupa di uno dei temi cari a quaderni di management, quello dell’organizzazione più adatta per favorire l’innovazione. A fronte di uno studio approfondito, la società di consulenza definisce dei profili tipici organizzativi, suggerendo quelli più adatti a sostenere l’innovazione. Vi sono alcuni profili (negativi) interessanti: le organizzazioni “ultra gestite” e quelle “passivo-aggressive”. Qualche lettore riconoscerà forse la propria azienda tra di esse?
   Sempre in tema di innovazione, l’eccellente articolo di Giuli si occupa di uno strumento importante come i team d’innovazione. Vengono confermati concetti ormai abbastanza noti, ma sistematizzati in un quadro organico e completo, molto utile per chi volesse organizzare nella propria azienda questi team per generare soluzioni innovative. Vengono individuati criteri, modalità e strumenti appropriati.
Vi sono molte considerazioni illuminanti e che spingono verso ulteriori riflessioni.
Un tema fondamentale è il ruolo del team leader e le modalità efficaci di gestione di un team che, per poter essere innovativo, deve possedere competenze molteplici (l’ “innoversity” di Susanne Justensen). Però, come evidenzia efficacemente Giuli, “poiché le persone preferiscono generalmente collegarsi con coloro che percepiscono come simili … queste differenze possono portare nel team al costituirsi di sottogruppi informali tra individui che si percepiscono come appartenenti ad una medesima matrice socioculturale: ciò aumenta la probabilità di conflitti relazionali all’interno del gruppo e rende più difficile una comunicazione collaborativa”.
Altro tema sono le caratteristiche personali migliori per l’innovazione: “un approccio metodico al lavoro e alla risoluzione dei problemi si mostra correlato in modo negativo con l’innovazione”. Andando più a fondo, Giuli afferma che nell’innovazione di tipo incrementale “l’influenza del pensiero convergente è ben presente, poiché si agisce soprattutto per migliorare l’esistente, all’interno di quadri cognitivi sostanzialmente noti e di opzioni logico-razionali che prevedono spesso un campo limitato di risposte. Lo sviluppo di soluzioni radicalmente nuove ha invece bisogno di un fondamentale contributo da parte del pensiero divergente”.
L’innovazione deve seguire dunque percorsi propri. “Mentre l’allenamento all’innovazione incrementale, ossia il miglioramento di efficienza ed efficacia dei prodotti, servizi e processi attuali, può beneficiare di vari metodi caratterizzati da un problem solving con un’impostazione prevalentemente logico-razionale … lo sviluppo dell’innovazione radicale, vale a dire la ricerca, sperimentazione e realizzazione di output nuovi, ossia prodotti, servizi e processi originali, deve necessariamente passare attraverso la conoscenza e l’apprendimento delle tecniche di potenziamento del pensiero creativo”.
L’articolo suggerisce diverse tecniche che facilitino il pensiero innovativo. I due approcci cognitivi chiave risultano essere l’elaborazione creativa combinatoriale (vengono prodotte nuove combinazioni partendo da concetti noti) e trasformazionale (si usano ragionamenti analogici e metafore per trasferire concetti da un ambito ad un altro.) In sostanza non esiste l’idea nuova in assoluto, nata dal nulla, ma un riutilizzo in contesti diversi di idee già presenti.
La netta separazione di approcci e strumenti tra una innovazione radicale ed una incrementale richiama un nostro vecchio editoriale (33/2008) in cui si poneva il tema del rapporto tra pensiero/organizzazione complessa e pensiero/organizzazione snella. Così come in quest’ultimo si separavano gli ambiti di applicazione delle due filosofie organizzative, in questo articolo si richiama il concetto di organizzazione ambidestra, di tipo sequenziale o simultanea, ovvero di un’organizzazione che contenga entrambi gli approcci all’innovazione, ma o li separi o in aree diverse (organizzazione ambidestra simultanea), o li utilizzi pervasivamente ma in tempi diversi (organizzazione ambidestra sequenziale).
   L’articolo di Ameli e Niccolini vuole mostrare che la capacità di una rete di mettere in atto processi di apprendimento evoluti è connessa alla condivisione dei valori degli attori e della vision e alla disponibilità alla collaborazione di lungo periodo.
   L’intrigante articolo di Fossas i Colet e Bombelli confronta la regola di SanBenedetto alle regole manageriali. Dopo un simpatica autocritica (“Non c’è il pericolo di ‘giocare a fare il monaco’, aggiungendo così un’‘esperienza’ in più all’elenco già assai lungo di cose strane e con poco senso che si propongono ai leader per stimolare il loro interesse?”), l’articolo arriva alla conclusione che il pensiero di San Benedetto nella proposta della Regola ha una grande modernità, infatti egli “leggendo nel profondo le dinamiche di un gruppo sociale, propone alcuni accorgimenti organizzativi di straordinaria attualità”.
   Infine un articolo a due mani, del guru statunitense del pensiero lean Jeffrey Liker con il consulente tedesco di Staufen Frank Krause sull’attualità degli approcci snelli anche dopo la crisi.

Buona lettura