quaderni di management 
bimestrale di cultura managerialeE.G.V.
  
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Throughput Accounting

Giancarlo Oriani


 

Per continuare il nostro dibattito sull’evoluzione dei sistemi contabili, avviato nei numeri precedenti con il lean accounting (focus sul numero 42/2009 e commenti del prof. Redondi sul numero 43/2010), in questo numero pubblichiamo un articolo sul Throughput Accounting, approccio contabile ispirato dalla teoria dei vincoli di Goldratt (teoria descritta anche in un articolo del numero 40/2009).
La critica portata ai sistemi contabili classici ha dei punti di similitudine con quella portata dal Lean Accounting. La volontà di definire un costo di prodotto tramite il ribaltamento dei costi indiretti, ma anche di quelli diretti che però non sono del tutto variabili, si ritiene generi valutazioni astratte se non erronee.
Non solo: il frainteso concetto di efficienza che porta alla volontà di saturare le macchine e di aumentare indiscriminatamente la produttività si rispecchia in una valutazione dei magazzini come asset positivi (anziché negativi, come sostengono i moderni approcci “lean” e della teoria dei vincoli).
La soluzione lean accounting si focalizza sulla creazione di value stream separate e di una conseguente contabilità per value stream, oltre che sulla definizione di modalità di calcolo che rispecchino l’importanza di produrre ciò che serve e non di produrre il più possibile per ammortizzare le risorse. Ad esempio, il conto economico di periodo potrebbe considerare il venduto (non il prodotto). In tal modo, la produzione per il magazzino finirebbe per diventare causa di perdite economiche e non una scelta che genera asset o produttività.
Con il Throughput Accounting (ovvero con la teoria dei vincoli) il centro d’attenzione di ogni azienda deve diventare l’aumento del Throughput, attuato tramite azioni specifiche sui vincoli e non con azioni generalizzate di riduzione dei tempi/aumento dell’efficienza, che possono indicare un fittizio recupero dei costi a fronte di una reale immutabilità delle prestazioni.
Una serie di articoli affrontano, sotto prospettive diverse, il tema delle aziende italiane.
   La ricerca condotta da Staufen con l’università di Heilbronn, su un campione di cinque nazioni (Italia, Germania, Svizzera, Polonia, Cina) vuole individuare quali siano state le strategie messe in atto per reagire alla crisi da parte delle aziende. Purtroppo nelle aziende italiane vi sono i maggiori ritardi, comparati con le altre nazioni, nell’adozione delle misure ritenute più importanti per affrontare la crisi, come la riduzione dei tempi di pagamento (d’altra parte era ben noto già prima della ricerca come le aziende italiane “oneste” si trovino tra l’incudine di debitori furbi ed il martello di un’amministrazione pubblica che con la sua inefficienza di fatto aiuta i secondi), o l’aumento del capitale. Di particolare interesse è che in Italia le aziende rilevano un ritardo significativo nell’applicazione dei principi lean, ritenuti però importanti per uscire dalla crisi.
  L’articolo di Serio e Boldizzoni affronta alcune questioni rilevanti per lo sviluppo futuro del sistema industriale italiano, per quanto riguarda in particolare le piccole e medie imprese: ci sono elementi di specificità che caratterizzano le PMI oggi rispetto agli anni passati? Stanno veramente cambiando le PMI? In che senso? Le dinamiche evolutive che investono l’economia mondiale stanno provocando una crescente omologazione delle PMI o una spinta alla diversità?
   L’articolo di Brun, del Politecnico di Milano, indaga l’applicabilità dei nuovi approcci del Lean Management e del Six Sigma nati in grandi aziende come Toyota e General Electric nell’ambito della piccola e media impresa italiana. Anche da questo studio emerge un fatto ormai acclarato, e cioè che la trasformazione lean è innanzitutto un problema “di testa”, di cambiamento culturale, e non certo di comprensione di tecniche. Proprio perché richiede un forte riorientamento del modo di pensare il proprio modo di lavorare, un altro fattore critico ormai riconosciuto da tutti è la necessità di una forte leadership da parte del vertice dell’azienda.
   L’articolo di Gnan e Songini di Eos si occupa dei conflitti nelle aziende familiari.
   L’intervista a Giuseppe Manni, gran patron dell’omonima azienda veronese, costituisce uno spaccato di storia dell’industria italiana. A proposito di aziende familiari, Manni richiama l’importanza centrale del senso di responsabilità e della “fame di sviluppo” per la crescita dei singoli e delle aziende, introducendo il problema della gestione delle seconde generazioni.
   Orientato al nostro futuro è l’articolo di Modesti, che si occupa di green computing.
   Infine vi presentiamo un interessantissimo articolo del prof. Vidotto sull’efficacia dei messaggi subliminali. La possibilità di influenzare i processi cognitivi attraverso l’uso dei messaggi subliminali è ancora oggetto di dibattito in ambito scientifico. Una serie di studi di laboratorio ha fornito prove dell’efficacia del messaggio subliminale nell’influenzare i giudizi e le preferenze, e quindi della sua effettiva possibilità di utilizzo a scopi di marketing.