Il fascino ancora incompreso del mondo degli hacker
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Paolo Magrassi
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Autorevoli guru di oltreoceano avanzano con forza la visione di una nascente economia basata su partecipazione, condivisione, appagamento personale, collaborazione aperta. Un formidabile mix di ingredienti che potrebbe cambiare il modo di fare impresa, la vita delle persone che lavorano, i modelli socioeconomici.
Il messaggio proviene da persone esperte di scienze giuridiche e sociali, installate in alcune delle migliori Facoltà universitarie del mondo. Eppure l’eventualità di una futura economia dominata da sentimenti di condivisione, disinteresse e solidarietà per ora non convince gli economisti, che devono fare i conti con le prosaiche e crude necessità del Pil, della crescita, dello sviluppo, dei consumi di massa.
Avanziamo a nostra volta, insieme all’ammirazione per i visionari in questione, qualche dubbio, forse persino più radicale di quelli degli economisti.
La visione ci appare, per il momento, guasta alla radice, perché si fonda su un malinteso concernente la creazione del software “open source”. Questo viene infatti considerato il manifestarsi spontaneo di manufatti che emergerebbero da una folla di programmatori disinteressati e cooperanti, senza orientamento né coordinamento dall’alto. Mostriamo quanto fallace sia questa convinzione.
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