quaderni di management 
bimestrale di cultura managerialeE.G.V.
  
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La passeggiata dell’ubriaco

Giancarlo Oriani


 

Esiste un libro (la cui lettura vi consiglierei) che si chiama “La passeggiata dell’ubriaco”, scritto da Mlodinow, scienziato americano di origini polacche, autore tra l’altro di alcuni libri con Stephen Hawking, il massimo fisico esistente. Egli evidenzia, con dovizia di rilevazioni statistiche ed aneddotiche, il ruolo del caso nella vita umana, non esclusi i casi di successo imprenditoriale e manageriale. Si tratta del cosiddetto “fattore C”, con cui alcuni, scherzando, spiegano il successo di un imprenditore o di un’azienda. Probabilmente è però vero che il caso gioca un ruolo molto più rilevante di quello che si pensi nelle vicende umane, e quindi anche in quelle manageriali. Forse questa considerazione darà fastidio a quei docenti e consulenti che si vogliono prendere molto sul serio, e vogliono giustificare le loro lezioni e i loro onorari sulla base della scientificità delle loro teorie e dell’affidabilità dei loro strumenti professionali. Ma se si vuole essere seri, non si può negare che nei sistemi complessi nessuno può padroneggiare completamente le variabili in gioco ed essere certo di ottenere certi risultati: di conseguenza, il fattore casuale deve avere un ruolo nello “spiegare” il successo, così come anche l’insuccesso. 
L’articolo che pubblichiamo in questo numero, di Pluchino, Rapisarda e Garofalo, vuole dimostrare che, se è vero il principio di Peter (la meritocrazia fa crescere nella gerarchia una persona sinché questa arriva ad occupare una posizione in cui si dimostra incompetente), allora criteri di promozione casuali non sarebbero meno efficaci per l’organizzazione di quelli meritocratici. E’ chiaro che più nessuna azienda (a meno di quelle completamente sprovvedute) cade nel classico errore di nominare capo dei venditori il miglior venditore, perdendo così un buon venditore ed acquisendo un pessimo manager. Ciononostante, le simulazioni tramite agenti presentate in questo articolo sono un interessante (e divertente) stimolo a ragionare sul confine tra determinismo e caso nelle vicende manageriali.
   Tornando ad un approccio più “classico” al management, troviamo quattro articoli su temi organizzativi.
Bernardel, Biazzo e Panizzolo, dell’Università di Padova, e Dal Pozzo, della società di consulenza Considi, presentano i risultati di un progetto promosso e sviluppato da Fòrema Unindustria Padova, con il sostegno della Camera di Commercio di Padova, denominato “Lean Community - Laboratorio di approfondimento e diffusione di concetti, metodologie e buone pratiche di Lean Transformation a favore delle PMI Padovane”. Il progetto si è articolato in una serie di attività di confronto e formazione su tematiche ed esperienze lean, che ha visto il coinvolgimento di una rappresentanza delle aziende manifatturiere del padovano. Di particolare interesse l’individuazione delle pratiche più rilevanti, dei principali fattori abilitanti e delle principali criticità per l’adozione delle logiche lean, nei suoi attuali tre contesti applicativi: la produzione, lo sviluppo prodotto e gli uffici.
   Paolo Naj, della società di consulenza Staufen Italia, presenta invece un caso di applicazione delle logiche lean ad un processo produttivo discontinuo, con presenza di molte varianti di prodotto e con cicli di trasformazione completamente differenti. Ovvero in un contesto diverso da quello propriamente ripetitivo, con processi standardizzati e un numero di varianti limitato, nel quale l’efficacia dei metodi di produzione snella viene ormai data per scontata. Habasit Italiana, produttore di nastri di trasporto e cinghie di trasmissione, è riuscita infatti ad implementare con successo i metodi della produzione snella, superando le molte diffidenze iniziali sulla possibilità di successo del progetto.
   Di nuovo Biazzo e Panizzolo, questa volta con Bernardi, ci parlano invece di un tema meno usuale, cioè quello della lean innovation, ovvero dell’applicazione dei concetti lean all’innovazione di prodotto. Più precisamente, obiettivo dell’articolo è di “identificare l’insieme delle tecniche e degli strumenti di matrice lean che possono contribuire a trasformare le attività di innovazione e sviluppo dei prodotti”. L’applicazione dei concetti lean ai processi di innovazione non è però immediata, per le ovvie differenze tra un processo ripetitivo di produzione che deve dare esiti noti ed un processo unico di innovazione che deve dare un esito non noto. Come evidenzia uno dei più brillanti studiosi di management, Donald Reinertsen, “una delle più grandi difficoltà nell’applicare i metodi lean allo sviluppo prodotto è il non rispettare le differenze critiche fra i due domini di applicazione”. Non solo: bisogna avere ben chiara anche la differenza tra l’innovazione e lo sviluppo prodotto. Gli autori dell’articolo evidenziano che il focus prevalente della letteratura corrente (e anche della pratica) risiede nello sviluppo prodotto: “Questo sbilanciamento di attenzione … è facilmente comprensibile, in quanto i processi di progettazione e sviluppo prodotto sono maggiormente strutturabili rispetto alle attività di innovazione”. La domanda che si pongono è quindi: “quali sono le implicazioni delle logiche e dei principi lean nel front-end dell’innovazione?”. La risposta si focalizza sugli strumenti del visual funnel e del roadmapping.
   Gandolfi ci presenta il caso dell’Ospedale Regionale di Mendrisio Beata Vergine (OBV), che ha sviluppato un progetto di riorganizzazione dei processi, con l’obiettivo di ridurre il sovraccarico di lavoro dei medici assistenti.
Il progetto ha dimostrato che le tecniche di problem solving sviluppate e diffuse nel mondo aziendale possono essere applicate con efficacia anche nel settore ospedaliero.
   Infine l’articolo di Modesti che approfondisce un tema di grande attualità: il cloud computing. Egli in particolare analizza le potenzialità per la Pubblica Amministrazione, che potrebbe risolvere i suoi problemi legati “all’aggiornamento della dotazione informatica, alla necessità di dovere disporre di spazi ove concentrare i server, al bisogno di doversi avvalere di specialisti per la manutenzione delle infrastrutture, alla velocizzazione nell’esecuzione dell’erogazione dei servizi in un’ottica di empowerment del cittadino”. In verità i primi tre punti sembrano di grande interesse anche per le aziende private.

Buona lettura