quaderni di management 
bimestrale di cultura managerialeE.G.V.
  
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Innovazione e territorio

Giancarlo Oriani


 

Qual è la relazione tra creatività, innovazione e contesti, e quindi territorio? E’ il nuovo focus che quaderni di management vi offre, coordinato dal prof. Pilotti.
Al lettore viene proposto un percorso integrato, che va dalla pura e semplice creatività individuale e sale attraverso fattori collettivi progressivi, dal gruppo, all’azienda, alle filiere, al territorio.
La creatività richiede la presenza di individui creativi, che però non potrebbero esprimere il proprio potenziale se non fossero inseriti in contesti favorevoli. Come afferma sin dall’inizio Pilotti, questa considerazione, difficilmente non condivisibile, “in generale porta a ridimensionare anche il diffuso conformismo sui talenti”. Già nel recente numero 54, parlando di leadership diffusa, si era anteposto il ruolo del sistema e della rete, a quello del singolo “cavaliere solitario”. E’ quindi veramente così solido il recente mantra dei “talenti”?
La presenza di caratteristiche creative in alcuni individui si valorizza, dunque, in tutte le sue potenzialità solo in presenza di un ambiente innovativo. Come ci spiega Pilotti, tale contesto richiede a sua volta di essere caratterizzato da almeno quattro fattori: diversità inter-personale e inter-individuale (tra gruppi); integrazione tra possibili «opposti»; domanda esterna di cambiamento o evoluzione; esistenza di supporti pratici o infrastrutturali (regole, norme, consuetudini) che facilitano la diffusione di alcuni benefici condivisi ed alcuni incentivi che possano essere sfruttati «localmente» e/o individualmente. A ciò si devono aggiungere tranquillità e fiducia: “Il contesto operativo che mostra di favorire comportamenti creativo-innovativi è un contesto che evidenzia una sostanziale libertà da pressione e stress organizzativo che invece sembrano concorrere a canalizzare i comportamenti verso ciò che è usuale e routinario”.
Emerge quindi la conferma della visione del processo innovativo come di un processo sociale, in cui l’interazione (soprattutto tra i diversi) gioca il ruolo cruciale. Così come lo giocano, ovviamente, i nuovi strumenti di supporto alla cooperazione (internet e social network).
Ciò vuol dire che, per supportare la capacità competitiva, il territorio deve farsi carico sempre più di creare le condizioni per lo sviluppo della creatività e dell’innovazione. I territori non possono più essere “passivi”, ma devono sostenere “processi di networking e di condivisione di conoscenze nuove tra imprese, tra reti e tra piattaforme i cui confini divengono sempre più porosi e instabili per l’evoluzione tecnologica e per la presenza di utenti evoluti”.
La rete di sostegno all’innovazione si fonde con un concetto marcatamente post-fordista di organizzazione aziendale. Non solo ovviamente per la porosità e la mancanza di chiari confini. Citando Rullani, l’autore ricorda che al calcolo, alla sistematicità, alla formalizzazione, alla diffusione di standard ed abilità di programmazione impersonale, si affianca la produttività cognitiva di menti connesse e in rete, siano essi gruppi di lavoro o comunità. Emerge “un disordine creativo che genera e trasferisce nuove idee, diffonde nuove conoscenze nell’organizzazione e nella rete di appartenenza, … e che si aggiunge al valore standard già prodotto dall’ordine replicativo”, proprio dei modelli fordisti. Sottolineiamo che si affianca e non si sostituisce: “Si tratta insomma di trovare il pertugio attraverso il quale fare convivere spinte alla riduzione dei fattori di ordine che costringono gli spazi dei potenziali di innovazione attraverso l’eccessiva fiducia nella replicazione seriale - «eppure efficiente!» e che tuttavia ridimensiona le condizioni di creatività – e la promozione di quel disordine capace di fare sorgere risposte flessibili e adattive alle complessità emergenti.” Ci sembra ci sia perfetta continuità di pensiero con molte riflessioni portate avanti in questi anni dalla nostra rivista, in cui si cerca di coniugare e far convivere, trovando ad ognuna i propri spazi adeguati, complessità e semplicità, disordine ed ordine.
Queste riflessioni vengono supportate da una serie di approfonditi studi specifici. L’articolo di Sabbadin sul design italiano. Quello di Tedeschi-Toschi e Apa sul turismo, che evidenziano la nascita di nuove forme d’offerta (d’impresa, di rete, di sistema e locale), ottenibili proprio attraverso nuovi sistemi multi-territoriali e multi servizio. L’articolo di Aiello, Donvito, Ranfagni e Grazzini, che affronta il tema della creatività in un’ottica di rete a livello territoriale e finalizzata allo sviluppo delle produzioni di beni ad alto valore simbolico (lusso, moda, artigianato artistico, eventi culturali) considerando il caso empirico dei territori di Firenze e di Parigi. Infine il contributo dello stesso Pilotti sullo scaffolding.
   Questo numero include anche l’articolo di Viceconte, che getta uno sguardo opportunamente disincantato sui libri di management. Quanto sono affidabili le ricette che nascono dagli studi di successo? Quanto è necessaria l’adesione alle mode manageriali consacrate? Senza mai scordare che “è rischioso parlare dei casi di successo ignorando quelli di insuccesso che sono certamente molte volte più numerosi.”